domenica 11 settembre 2011

Manovra economica: sarà possibile licenziare con l'ok dei sindacati

Prendendo spunto da un interessante articolo pubblicato nel blog di Mariano Turigliatto (a cura di Franco Maletti) in cui è spiegato con semplicità e completezza come e quando si può licenziare nelle aziende con più di 15 dipendenti, ho aggiunto quali saranno i cambiamenti che apporterà la Manovra in corso di approvazione in questi giorni (già approvata dal Senato giovedì 8 settembre). In pratica aumenteranno le possibilità per licenziare e cresceranno le divergenze fra i sindacati.

COME ERA PRIMA
Il licenziamento nelle aziende con un numero di dipendenti superiore ai quindici viene sostanzialmente catalogato nei seguenti tre modi diversi.
Per giustificato motivo soggettivo. Si caratterizza per il fatto che è riferito al soggetto (singolo lavoratore), e che il licenziamento deve essere per una giusta causa (grave mancanza, fatto che generi sfiducia nel rapporto ecc.) ossia motivato dal datore di lavoro con ragioni credibili e incontestabili. Nel caso che il lavoratore si rivolga al giudice è onere del datore di lavoro provare rigorosamente la fondatezza del licenziamento.
Per giustificato motivo oggettivo. Può essere singolo o plurimo. Si caratterizza per il fatto che normalmente è riferito alla chiusura di una branca dell’attività aziendale (reparto, sezione, filiale, o tipo particolare di attività).
Nel caso che il lavoratore si rivolga al giudice, non solo il datore di lavoro deve provare – come per la giusta causa – la fondatezza del licenziamento, ma deve dimostrare altresì la impossibilità del riutilizzo di ogni singolo lavoratore in altri reparti dell’azienda, anche ed eventualmente con diverse mansioni. Se le mansioni sono di valore inferiore il trasferimento è ovviamente subordinato alla accettazione da parte del lavoratore, e solo quando sia dimostrata la impossibilità di riutilizzo a parità di mansioni.
Licenziamento collettivo. Si caratterizza per il fatto che è riferito alla azienda in via di ridimensionamento che, pur restando in vita, si struttura diversamente e si riorganizza completamente: producendo cose diverse o con sistemi e criteri totalmente diversi, tali da impedire l’utilizzo di tutti o parte dei lavoratori per le mansioni che svolgevano in precedenza.
L’onere della prova della ristrutturazione è a carico del datore di lavoro (che però lo deve assolvere nei confronti delle OO.SS. dei lavoratori e non nei confronti del giudice), e il licenziamento collettivo avrebbe validità soltanto qualora fosse dimostrata giudizialmente la inefficacia della Cassa Integrazione (Cig). Infatti, secondo la interpretazione del giudice non si può fare il licenziamento collettivo se prima non si sperimenta la Cig.
Poiché davanti al giudice del lavoro le garanzie per il lavoratore sono limitate ai criteri di selezione operati dal datore di lavoro, tutta la parte riferita alla verifica delle motivazioni e delle prove, sia per i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, che per quelli collettivi, è a carico delle Organizzazioni Sindacali. Questo perché la legislazione italiana è carente: in quanto non solo non stabilisce quali provvedimenti adottare nel caso in cui le motivazioni addotte dal datore di lavoro per i licenziamenti risultino false e non credibili, ma non ne consente al giudice nemmeno una verifica platonica.
La capacità di respingere i licenziamenti (al di là della discussione davanti al giudice dei criteri di selezione adottati) rimane quindi solo ed esclusivamente legata alle capacità di lotta in difesa del posto di lavoro da parte dei lavoratori interessati.
Il tempo utile per impugnare il licenziamento è per il lavoratore di 60 giorni a partire dalla data di ricevimento della lettera raccomandata che lo comunica (solo in caso di maternità i giorni utili diventano 90).

Considerazione comune. Nella vita lavorativa non esiste momento più drammatico di quello in cui si riceve la lettera di licenziamento.
Nei fatti, chi ha fondate ragioni per ritenere il suo licenziamento illegittimo, deve impugnare il licenziamento entro sessanta giorni facendo obbligatoriamente richiesta di incontro preventivo all’Ufficio Provinciale del Lavoro e aspettare. Dopo qualche mese viene fissato l’incontro, al quale il datore di lavoro non ha l’obbligo di presentarsi. Oppure si presenta e conferma il licenziamento.
Allora finalmente l’avvocato può dare inizio alla causa. Dopo qualche settimana (se tutto va bene e l’avvocato non è troppo impegnato) viene presentato il ricorso in cancelleria del Tribunale del Lavoro. Dopo qualche altra settimana il pretore dirigente assegna al giudice la causa. Il giudice che riceve la causa fissa la data dell’udienza nei sei-otto mesi successivi. Mettendo tutto insieme il lavoratore si trova davanti al giudice la prima volta per fare valere i suoi diritti dopo almeno un anno.
Si contano sulle dita di una mano i lavoratori che sono riusciti ad aspettare un anno senza lavorare prima di poter far valere i propri diritti rispetto a quei lavoratori che, letteralmente “presi per fame”, hanno alla fine accettato una soluzione economica in cambio di un licenziamento palesemente illegittimo.


COSA SUCCEDE ORA
Il Ministro Sacconi ha trasformare in Legge una palese ingiustizia che già avviene nei fatti. In pratica adesso le aziende con più di 15 dipendenti potranno ricorrere più facilmente ai licenziamenti senza giusta causa, aggirando il divieto sancito dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, potendo sfruttare misure di "indennizzo" alternative al reintegro del lavoratore, se questo potere sarà dato loro da un'intesa con i sindacati maggioritari in azienda.
La "rivoluzione" è contenuta nell'emendamento della maggioranza all'articolo 8 della Manovra, approvato dal Senato lo scorso giovedì 8 settembre.
Va tuttavia specificato che saranno esclusi dalle deroghe possibili al contratto nazionale di lavoro licenziamenti discriminatori in caso di maternità e congedi parentali. Infatti, si legge nel testo che verrà "fatta eccezione per il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio, il licenziamento della lavoratrice dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine di interdizione al lavoro, nonché fino a un anno d'età del bambino, il licenziamento causato da una domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per la malattia del bambino da parte della lavoratrice o del lavoratore ed il licenziamento in caso di adozione o affidamento".


IN SINTESI L'ART. 18
L'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori afferma che il licenziamento è valido se avviene per giusta causa o giustificato motivo.
In assenza di questi presupposti, il giudice dichiara l'illegittimità dell'atto e ordina la reintegrazione del ricorrente nel posto di lavoro. In alternativa, il dipendente può accettare un'indennità pari a 15 mensilità dell'ultimo stipendio, o un'indennità crescente con l'anzianità di servizio.
Il lavoratore può presentare ricorso d'urgenza e ottenere la sospensione del provvedimento del datore fino alla conclusione del procedimento, della durata media di 3 anni.
Nelle aziende che hanno fino a 15 dipendenti, se il giudice dichiara illegittimo il licenziamento, il datore può scegliere se riassumere il dipendente o pagargli un risarcimento. Può quindi rifiutare l'ordine di riassunzione conseguente alla nullità del licenziamento. La differenza fra riassunzione e reintegrazione è che il dipendente perde l'anzianità di servizio e i diritti acquisiti col precedente contratto (tutela obbligatoria).

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